Enia, finalmente dorme sola

Testimonianza di Liliana Carotta.

È bella, vero, la mia Enia?

Qui è il 1958. L’altro è suo fratello Michele, qualche tempo dopo è arrivato anche Agostino.

Mi sono accorta presto che era diversa dai fratelli, diversa dagli altri bambini. A tre anni non parlava ancora, diceva solo “mama, papa”, “mama, papa”, quelle parole così. Allora da Folgaria sono scesa a Trento, l’ho portata da un pediatra bravissimo. Così dicevano.

“Secondo me la bambina sta bene, non ha niente, la porti all’asilo e vedrà che in mezzo agli altri bambini imparerà a parlare”.

Non si è accorto di niente, come tanti medici dopo di lui.

L’ho portata al nido, ma dopo un paio di giorni la maestra mi ha detto che dovevo ritirarla.

Non posso tenerla, graffia gli altri bambini, sono tanti, non posso stare dietro solo a lei”.

È vero Enia era vivace, qualche volta un po’ aggressiva forse; oggi non lo si direbbe: è tutta baci, abbracci e coccole. Mi dispiaceva tanto che non stesse con gli altri bambini, ma…pazienza.

Ogni tanto chiedevo la visita all’OMNI a Trento, per controllarla, per vedere di capire cosa aveva. Le assistenti sociali e i dottori le mettevano davanti dei giocattoli: doveva riempire delle caselle, ma niente, non ce la faceva. Aveva imparato qualche parola in più, ma non si esprimeva bene – neanche adesso lo fa – anche se le orazioni le sapeva ripetere a memoria, tutte.

Quando Enia ha compiuto 6 anni, l’ho mandata a scuola. Avevo la fortuna di conoscere una maestra delle elementari.

Se la tase, la sta ferma nel banco e non la me disturba, la putelota la tegno mi”.

Però anche questa è andata male, la maestra l’ha tenuta per un po’, ma Enia non stava mai ferma. Anche quando era casa era come una biscia, scappava sempre, andava nel parchetto qui vicino e su e giù sulle altalene, su e giù, su e giù.

Quando Enia aveva ormai 9 nove anni, mio marito ed io abbiamo sentito dire che in Veneto c’era una scuola differenziale, e allora l’abbiamo mandata là dalle suore. È rimasta un paio di anni. Tornava d’estate e a Natale.

Dopo hanno aperto un istituto più vicino. Era propri agli inizi; sono andata a vedere, ma non me la sono sentita; povere creature, erano gravi, non come Enia. Enia è bella. Dio mio il quoziente sarà stato anche basso, bassissimo, ma non era grave come quelle povere creature

E così è stata sempre con me fino a quando qualche anno dopo non ci hanno chiamato da Trento e mi hanno detto che anche qui da noi avevano aperto una scuola differenziale.

Si! Si! volevo questo per lei.

A casa le davo un quaderno e perché si distraesse le disegnavo una casetta e poi scrivevo la parola casa, oppure fiore, o nuvola e lei le copiava un numero infinito di volte: casa, casa, casa, casa; fiore, fiore, fiore; nuvola, nuvola, nuvola…. Pensavo se la mando in una scuola adatta a lei starà meglio.

Siamo andati dalle suore a chiedere; ci hanno detto che ce la prendevano. Le ho preparato il corredino con i numeri che ci avevano dato da attaccare ai suoi vestiti.

Qualche tempo però mi hanno detto: “No! Leggere, scrivere, imparare i numeri, per Enia è troppo difficile; una montagna impossibile da scalare.” Non capiva, non ci arrivava a capire, non riusciva, non riusciva proprio. Chissà, forse se l’avessi mandata prima. Pazienza.

Alle suore ho chiesto che allora la portassero in cucina con loro, così imparava a lavare i piatti, ad asciugarli, a pulire i pavimenti, insomma qualcosa di utile che le potesse servire più che fare il mezzo punto di ricamo.

Però Enia non era contenta, veniva a casa 15 giorni ad agosto e 10 a natale. In realtà ogni volta si fermava più di un mese. Riportarla era un problema. Voleva dormire a casa, con me. Non ci voleva tornare e quando era là cercava di scappare. Una volta è saltata dalla finestra e si è rotta un ginocchio e da allora non più stata bene, quel ginocchio anche oggi la tormenta nonostante le infiltrazioni che continuiamo a fare.

Una volta è tornata con un sacchettino che le avevano dato le suore: era pieno di pastiglie rotonde, bianche e lucide con una croce in mezzo. Le avevano tagliate a pezzetti e mi hanno detto che dovevo dargliene una la mattina e una la sera prima di andare a letto. Quando glielo data la prima volta dopo colazione lei si è addormentata sulla tavola e ha dormito fino a mezzogiorno.  E allora mi son detta no! Piuttosto che vederla dormire così, la lascio saltare, correre, andare sulle altalene, su e giù; che faccia quello che vuole. Non era giusto farla dormire in quel modo. Si vede che là usavano quelle pastiglie per farli stare calmi, forse ce n’erano alcuni agitati. Mi hanno detto che ora è diverso.

Mio marito ed io comunque ci siamo detti: riprendiamocela con noi. Era il 1976 ed Enia aveva 20 anni. Ed è stata giorno e notte con me fino al 1992. All’inizio c’era anche mio marito che però è morto improvvisamente nel 1984; gli altri miei figli poco dopo si sono costruiti la loro famiglia e sono andati.

Siamo rimaste Enia ed io in quell’albergo che aveva costruito mio marito con sacrifici incredibili. Era il suo sogno. Solo che l’ha costruito in mezzo al nulla. In realtà la zona è bellissima, ma fuori mano, non ci sono piste da sci, impianti, niente, e così la stagione dura pochissimo.

Un’amica ha cominciato a dirmi: “Perché non mandi Enia a Rovereto, hanno fatto un bel centro si chiama il ponte, c’è anche mia figlia. Se la mandi vengono a prenderla con un pulmino.” Ma ero sola in quell’albergo in mezzo al bosco ed Enia e io ci facevamo compagnia.

Però poi è successa una cosa, una cosa che mi ha aperto gli occhi.

Era il 1992 e dovevo farmi operare ai calcoli e rimanere 8 giorni in ospedale. La dottoressa mi ha chiesto: “Ed Enia? con chi sta?”. Io ero tranquilla: “mi sono messa d’accordo con uno dei miei figli che vada là a pranzo e a cena per farle da mangiare e a dormire nell’albergo con lei. Per il resto Enia si arrangia a vestirsi e a lavarsi.” Ma la dottoressa mi ha risposto: “Ora può essere così, ma deve pensare ai suoi figli. Noi non viviamo mica per sempre”.

E ho cominciato a pensare. E se mi succedeva come a mio marito di morire da un giorno all’altro? Cosa avrebbe potuto fare Enia? Dio mio! E così sono andata a vedere la centro Il Ponte.

La direttrice e gli operatori mi hanno accolto bene, mi piaciuto il posto. Non era certi però che il servizio potesse accogliere la mia richiesta di iscrizione perché Enia non era giovane come gli altri ospiti, aveva 32 anni!

Provate a fare la domanda, se non va, Beh pazienza”.

Un giorno è squillato il telefono – erano i primi giorni di ottobre -e mi hanno detto che sì, che era andata bene, che la domanda era stata accolta. Ho chiamato subito l’addetto ai trasporti per chiedergli se poteva passare la mattina dopo a prendere Enia.

Siamo andate giù insieme. Entrare dentro è stato difficilissimo; Enia aveva paura che l’avessi riportata all’istituto, ed è scappata in mezzo ai campi. A forza di dai e dai si è convinta. I primi giorni stavo sempre insieme con lei. Poi ho cominciato ad aspettarla fuori dalla porta della stanza, poi piano piano ho potuto allontanarmi qualche ora, finché si è convinta. Ogni sera le dicevo “Lo vedi Enia che vieni a casa a dormire? lo vedi Enia? Domani vai da sola? io resto a casa e ti aspetto, ti preparo la torta e ti stiro i vestiti”. Alla fine un giorno mi ha detto di sì, è salita sul pulmino da sola ed è andata. E io l’ho guardata andare pensando chissà.

Al centro stava bene e aveva capito che ogni sera sarebbe tornata a casa a dormire con me.

Poi mi è capitato di nuovo di dover andare via per un po’ per curarmi. Il centro poteva seguirla durante il giorno, ma la notte? Ho chiesto che la ospitassero nelle strutture dedicate. ma lei scappava. Scappava dalle finestre, si nascondeva dietro le macchine.

E io ho pensato alle parole della dottoressa “Non viviamo mica per sempre!” e ho capito che c’era ancora strada da fare. Ho cominciato a cercare se c’era una possibilità di insegnarle a dormire fuori casa, non solo e sempre con me. Ho parlato con i servizi a Rovereto e Trento. C’è stato chi mi detto “ma perché si preoccupa tanto, in Folgaria avete una bellissima casa di riposo.”

Ed è vero sapete, è proprio bella. Ma è un posto per anziani. Chissà forse loro si preoccupavano che se Enia fosse andata a vivere a Rovereto poi avrei fatto fatica ad andare a trovarla. Gli anni passano anche per me.

Poi mi ha chiamato Il Ponte e mi ha parlato di un nuovo progetto che la poteva aiutare. È stato lento: prima Enia ha conosciuto gli altri compagni di appartamento e l’educatrice; hanno cominciato ad uscire insieme, a fare la spesa e andare nella casa nuova a prepararsi il pranzo e a mangiare. Poi hanno provato a stare là insieme un fine settimana, e poi un altro. E sapete: Enia, è felice! La mattina quando deve andarci, la trovo già pronta con la valigia in mano e quando torna a casa è felice, non smette più di parlare.

Qualche volta la sera mi ha chiesto mamma: “ma io posso stare ancora qui con te?” E io le rispondo che questa sarà per sempre casa sua, ma poi le chiedo “sei stata bene nel nuovo appartamento con gli altri?” E lei mi risponde sempre sì. “Allora vedi Enia puoi stare là e, quando hai voglia, tornare qualche giorno qui con me.”  A 84 anni so che finalmente Enia dorme sola.

Scusate, ora devo andare. Enia sta per tornare, anche se non so mai di preciso a che ora arriva, dipende dal traffico. Il pulmino si ferma qui davanti a casa.

Piove, scendo ad aspettarla con l’ombrello.